giovedì 30 ottobre 2014

CONSIGLIO COMUNALE STRAORDINARIO PER RILANCIARE LA FRANCO TOSI

Giuseppe Marazzini
30.10.2014



La Prealpina Legnano – giovedì 30 ottobre 2014 pag.44
Tosi, anche Roma prende tempo
Il Ministero ascolta in silenzio la relazione dei commissario: tutto rinviato alla prossima settimana
 
LEGNANO - Nove giorni in più non sono bastati a fare chiarezza, anzi. Ancora ieri mattina l’assessore regionale alla Ricerca Mario Melazzini ribadiva che «l’incontro odierno al Ministero dello Sviluppo economico deve essere decisivo per il futuro della Franco Tosi, perché non c'è più tempo da perdere»; invece nel pomeriggio il summit romano è durato appena una mezz’ora: ovviamente assente il ministro, il funzionario Giampiero Castano non ha aperto bocca, e il commissario straordinario che sta gestendo la gara che prima o poi forse porterà alla vendita dell'azienda simbolo di Legnano si è limitato a ripetere quanto aveva già detto la scorsa settimana a Melazzini e ai sindacati. Ieri tutti si aspettavano che il commissario Andrea Lolli avrebbe fatto i nomi dei quattro potenziali acquirenti della Tosi che si sarebbero impegnati a presentare le loro offerte nella fase di "procedura negoziale'', ma questi nomi saranno eventualmente fatti la prossima settimana, quando Ministero e Comitato di sorveglianza li avranno conosciuti in anteprima e avranno autorizzato la seconda fase della procedura di vendita. Cosi a sorpresa ieri invece di fare un passo avanti se n'è fatto uno indietro, perché se la scorsa settimana Lolli aveva indicato il prossimo 15 dicembre come data ultima per identificare un compratore, ieri a Roma si é parlato genericamente di "tempi tecnici": trenta giorni di gara da quando la procedura sarà autorizzata, più il tempo necessario perché il notaio apra le buste e il commissario e i suoi consulenti facciano le opportune valutazioni. «Il tempo non è un problema - ribadiva ieri sera il segretari Fim Cisl Milano-Metropoli Edoardo Barra -. La procedura è complessa, bisogna muoversi con cautela per raggiungere il migliore obiettivo possibile, che è quello della tutela della fabbrica e dei posti di lavoro». «L'incontro che si è tenuto oggi è stato inutile - ha replicato il segretario regionale della Fiom-Cgil Mirco Rota -. Si è solo perso altro tempo, quando è ormai chiaro che a questo punto è necessario arrivare il prima possibile a una soluzione». «Occorre che il ministro Federica Guidi metta il commissario nelle condizioni di procedere rapidamente alla definizione di una nuova soluzione imprenditoriale - ha aggiunto Melazzini. Continueremo a vigilare su questa delicata situazione». A Legnano intanto, il consigliere di Sinistra Legnanese Giuseppe Marazzini ha protocollato una interrogazione che sarà presentata nel prossimo consiglio comunale: «Siamo più che preoccupati - ha scritto -. La situazione richiede un intervento risolutivo in tempi brevissimi. La sensazione è che l'intero iter messo in piedi per la vendita della Franco Tosi sia solo un pestar acqua nel mortaio». Marazzini ha quindi chiesto di convocare un consiglio comunale straordinario nello stabilimento di piazza Monumento, «per sottolineare anche in occasione del novantesimo della città che la storica azienda deve riprendere la sua normale attività». Mentre gli incontri decisivi continuano a susseguirsi senza che si arrivi al dunque, i 370 dipendenti della Tosi continuano a tenere le dita incrociate.
Luigi Crespi

Apprendiamo da un comunicato stampa che oggi 30 ottobre 2014, il Sig. Sindaco Alberto Centinaio ha telefonato al Commissario Straordinario della F. Tosi Dott. Andrea Lolli, in merito alla situazione dell’azienda. Guarda caso la telefonata è avvenuta dopo la presentazione dell’interrogazione della Sinistra Legnanese, protocollata il 27 ottobre 2014 e dopo l’incontro al Ministero dello Sviluppo Economico del 29 ottobre 2014; incontro risultato senza esiti.
Forse la vicenda Franco Tosi meriterebbe ben più di una telefonata.

mercoledì 29 ottobre 2014

ORMAI IL POSTO FISSO E’ UN MIRAGGIO! PERCHE’ QUELLO PRECARIO RIESCI A VEDERLO?

Giuseppe Marazzini
29.10.2014

La Stampa – lunedì 27/10/2014
Il posto fisso è un miraggio, giovani sempre più precari
Ogni cento contratti solo 15 sono a tempo indeterminato e quasi il 70% sono interinali o di formazione. Camerieri e braccianti le occupazioni più diffuse tra i ragazzi
PAOLO BARONI - ROMA

Già oggi ogni 100 nuovi contratti di lavoro che vengono attivati appena 15,2 sono a tempo indeterminato, in pratica uno su sei. Tutto il resto è precario, flessibile, a termine. Dunque, di posti fissi come si intendevano un tempo se ne contano davvero pochi e Matteo Renzi, dopo Monti nel 2011 e D’Alema addirittura nel 1999, ha buon gioco alla Leopolda a proclamare a sua volta la fine del posto fisso e a cercare di correre ai ripari col «Jobs act». Il grosso dei nuovi contratti, ben il 69,7% nel secondo trimestre del 2014 secondo i dati raccolti dal ministero del Lavoro, è rappresentato dalla sommatoria di contratti di formazione, contratti di inserimento, interinali, intermittenti e contratti di agenzia. Poi c’è un 6,2% di contratti a termine, un 5,8% di contratti di apprendistato ed infine un 3,1% di contratti di collaborazione. Su 2.651.648 nuovi rapporti di lavoro, dunque, solo 403.036 (227mila maschi e 176mila femmine) sono a tempo indeterminato. Ne consegue un turnover fortissimo che, sempre nel II trimestre 2014, arriva a sommare ben 2.430.187 cessazioni: 355mila sono frutto di richieste del lavoratore, 249mila sono invece promosse dall’azienda. Restano 1 milione e 639 mila contratti che terminano per semplice scadenza naturale del rapporto di lavoro.

Contratti di un giorno 
La cosa curiosa è che di queste 2,43 milioni di cessazioni ben 403mila riguardano contratti che durano appena 1 giorno, 170mila tra due e 3 giorni ed altri 380 mila non arrivano al mese pieno di lavoro. Solo 381mila contratti durano più di un anno. Se si analizza la serie storica che va dal primo trimestre 2011 al secondo trimestre 2014 si vede che in tre anni e mezzo lo stock dei contratti cessati ha toccato l’iperbolica quota di 34 milioni e 824 mila interessando 12 milioni e 147 mila lavoratori, che in media hanno pertanto «subito» 2,87 cessazioni a testa. Che tradotto in concreto significa un cambio di contratto, e quindi magari pure di azienda, di mansione, di stipendio e inquadramento ogni 14 mesi e mezzo. Con picchi di 11 mesi e 12 giorni in Puglia e di 11 mesi e 27 giorni nel Lazio. 

Tutti a termine 
Camerieri e braccianti agricoli si contendono la palma delle professioni più gettonate rappresentando rispettivamente la prima occupazione per la manodopera femminile e la seconda per quella maschile, la prima occupazione per gli uomini e la seconda per le donne. Su 179.815 braccianti maschi assunti nel secondo trimestre 2014 ben 178.689 avevano un contratto a tempo determinato e appena 988 uno a tempo indeterminato (126.376 i contratti relativi alle donne, con anche qui appena 6347 contratti a tempo indeterminato). Su 127 mila camerieri maschi quelli assunti a tempo indeterminato sono stati invece 5.534, più o meno come per le donne (143.559 nuovi contratti e 6347 contratto a tempo indeterminato). Se si passa a tipologie di lavoro meno soggette a stagionalità il discorso non cambia più di tanto. Tra le donne su 78mila commesse assunte ce ne sono ben 52mila a tempo determinato, 5.700 in apprendistato, 6.680 con contratti precari e solo 12.100 assunte a tempo indeterminato. Idem per i maschi: se si guardano le qualifiche di manovale e muratore, ad esempio, si scopre che meno della metà dei nuovi rapporti di lavoro attivati per queste posizioni è stabile: 22.175 su 50.174 nel primo caso e 11.190 su 24.717 nel secondo.

Il 46% dei giovani in cerca 
In realtà, secondo un’indagine Coldiretti/Ixé, meno della metà dei giovani italiani (46%) ambisce ad avere un posto fisso contro il 53% dell’anno passato. Quasi un giovane su tre (31%) vuole lavorare autonomamente. Ben il 51% sarebbe pronto anche ad espatriare per trovare un lavoro, mentre il 64% è disponibile a cambiare città. Segno che, almeno sulla carta, la flessibilità poi non spaventa nemmeno tanto.

A rischio il 56% dei lavori 
Qualche esperto sostiene che il posto fisso nei fatti non è esistito mai. Perché in seguito innovazioni, cambiamenti delle abitudini e globalizzazione è inevitabile che i vecchi lavori muoiano di continuo e i nuovi lavori nascano. Di qui al 2022, secondo l’indagine «Career Cast», scompariranno taglialegna e tornitori assieme a giornalisti, tipografi, hostess, agenti di viaggio, postini e letturisti dei contatori. Apocalittica, in questo senso, una stima della London School of economics secondo cui in Italia ben il 56% dei lavori di oggi rischia di sparire entro vent’anni. Roba da fare gli scongiuri.

giovedì 23 ottobre 2014

ACQUA E BENI COMUNI: IL SECONDO SCALPO DI RENZI

Giuseppe Marazzini
23.10.2014

Acqua e Beni comuni: il secondo scalpo di Renzi
Marco Bersani - Forum italiano dei movimenti per l'acqua


Attraverso la famigerata coppia normativa, formata dal decreto “Sblocca Italia” e dalla Legge di Stabilità, il governo Renzi sta tentando di portare un secondo scalpo al tavolo dei rigoristi europei e al banchetto dei grandi interessi finanziari: i servizi pubblici locali, a partire dall'acqua. Il disegno sotteso è quello di un processo di aggregazione/fusione che veda i quattro colossi multiutility attuali – A2A, Iren, Hera e Acea- già collocati in Borsa, fare man bassa di tutte le società di gestione dei servizi idrici, ambientali ed energetici, divenendo gli unici campioni nazionali, finalmente in grado di competere sui mercati internazionali. 

 Dietro la propaganda della riduzione del carrozzone delle società partecipate e dei costi della “casta” - problema reale, le cui soluzioni, se affidate ai cittadini e ai lavoratori dei servizi, andrebbero in direzione ostinata e contraria agli interessi delle lobby politico/finanziarie che dominano il paese- si cerca di mettere una pietra tombale sull'esito della straordinaria vittoria referendaria del giugno 2011 e sul suo profondo significato di pronunciamento di massa contro le politiche liberiste e di affermazione del nuovo paradigma dei beni comuni. 

Con il decreto “Sblocca Italia”- piano di cementificazione devastante del paese, alla faccia delle lacrime di coccodrillo sul suo dissesto idrogeologico- si è imposto il concetto dell'unicità della gestione del servizio idrico dentro ogni ambito territoriale ottimale (Ato) in cui è diviso il territorio, buttando a mare il pre-esistente concetto di unitarietà della gestione, che permetteva di mantenere, integrandola, la pluralità delle gestioni esistenti in ogni territorio. Se a questo si aggiunge il fatto che ogni regione sta ridisegnando gli ambiti, tendendo sempre più spesso a farli coincidere con l'intero territorio regionale, il risultato appare chiaro: al termine di questo processo, vi sarà un unico soggetto gestore per Regione, e sarà giocoforza il pesce più grosso che annetterà tutti i pesci più piccoli. Rompendo definitivamente ogni legame con la territorialità dei servizi pubblici locali e la possibilità, se non di una gestione partecipativa, almeno di un controllo democratico affidato alle istituzioni locali.  

In realtà, il disegno di fusione progressiva ha un preciso obiettivo: la valorizzazione finanziaria di società che, basandosi sulla redditività garantita dall'erogare servizi essenziali -e quindi a domanda rigida- e sull'enorme liquidità periodica garantita dalle tariffe, se dimensionate su un numero significativo di utenti-cittadini, possono produrre, una volta collocate dentro la rete delle grandi mutltiutility, un importante valore aggiunto sui mercati finanziari. 

Ciò che prevede lo Sblocca Italia è tuttavia solo la premessa di quanto disposto dalla Legge di Stabilità, che si prefigge il colpo finale per ogni idea di riappropriazione sociale dei beni comuni e di gestione partecipativa e priva di profitti da parte delle comunità locali. 

Infatti, approfittando del progressivo strangolamento degli enti locali, scientificamente portato avanti negli anni attraverso i tagli dei trasferimenti e l'applicazione di un patto di stabilità interno che ne ha reso praticamente impossibile il mantenimento di ogni funzione pubblica e sociale ( gli osannati “angeli del fango” della recente alluvione di Genova, altro non sono che ragazzi sanamente arrabbiati, i quali, avendo chiaro il totale stato di abbandono in cui sono lasciati dalle istituzioni, decidono di fare da sé) , il governo Renzi regala ai Sindaci il definitivo ricatto, togliendo dai parametri del patto di stabilità, quindi permettendo loro di spendere, le cifre ricavate dalla cessione di quote pubbliche delle società partecipate di servizi pubblici locali e rendendo nel contempo, ancor più onerosa, la scelta di una gestione pubblica degli stessi. 

Si chiede ai Sindaci, dunque, di mettere in vendita i beni comuni primari delle proprie comunità di riferimento, per consentire loro di mantenere uno straccio di funzionamento ordinario dell'ente locale.

L'obiettivo delle elite politico-tecnocratiche dell'Ue è lo stesso di quando, dopo neppure un mese dalla proclamazione della vittoria referendaria, scrissero all'allora governo Berlusconi la famosa lettera di diktat, tra i quali il n. 26 diceva “cosa intende fare il suo governo per la privatizzazione dei servizi idrici nel Paese, malgrado l'esito del recente risultato referendario?”. 

L'obiettivo di Renzi è quello di dimostrare di essere l'unico capace di portare a termine un compito che nessun altro governo era sinora riuscito a fare. 

Il compito del movimento per l'acqua  e dei movimenti per i beni comuni è ancora una volta quello di dimostrare che indietro non si torna, riaprendo una forte mobilitazione territoriale e nazionale che sappia parlare a quella maggioranza di persone, intimorita dalla crisi ma non annichilita nella speranza, che votando “sì” al referendum ha suggerito la possibilità di un altro modello sociale, basato sulla riappropriazione dei beni comuni e sulla loro gestione partecipativa, democratica, territoriale. E di far schierare i Sindaci, costretti, oggi più che mai, a scegliere se essere l'ultimo terminale delle politiche rigoriste che dall'Ue ai governi nazionali precipitano sui beni comuni della popolazioni locali o se finalmente essere i primi rappresentanti del territorio e delle persone che lo abitano. 

Renzi non che è il presente fine a se stesso, feroce e cinico come chi non conserva memoria e non immagina futuro. Alle donne e agli uomini dell'acqua, che un futuro non solo l'hanno chiaro ma lo pretendono per tutte e tutti, l'obiettivo di fermarlo.